Onore a Giuseppe La Rosa, bersagliere in missione di pace in Afghanistan, vittima di un vile attentato compiuto da un ventenne.

Tra due silenziosi ali di folla, avanza, avvolta nel tricolore, la bara portata in spalla, con passo cadenzato, da sei giovani bersaglieri.
Viene sistemata sul freddo pavimento della chiesa al centro dell'attenzione di tutti i presenti convenuti per l'ultimo cristiano saluto.
Tutti gli occhi si incrociano su quella lignea teca in cui sono stati sigillati sogni e speranze di un giovane ufficiale italiano in missione di pace. Sguardi vuoti, persi, assenti, angosciati, pietosi, commiserevoli, inespressivi si infrangono nel tricolore posto a fasciare l'ultima dimora del capitano.
Mentre pensieri e menti di autorità, commilitoni e gente comune si incamminano sull'elogio funebre tracciato da un monsignore celebrante che, con voce inflessuosa e bassa, elogia le virtù di un uomo che d'improvviso diventa figlio, padre, fratello, parente e amico di tutti.
Alla fine, avanzando tra due rive di gente commossa, con gli occhi ormai aridi dal torrente di lacrime versato, il cuore impietrito da un immenso dolore, la mente annebbiata dal vuoto di un crudele destino, la famiglia si riprende quel corpo di pace straziato da schegge di guerra assassina per tumularlo nel proprio perenne ricordo.

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