Domenica 4 novembre 2018: cento anni della fine della prima guerra mondiale che ha segnato per sempre i destini del nostro Paese.


Un secolo dopo gli storici litigano ancora sul totale numero dei caduti, che, secondo le stime più recenti, ha causato circa 26 milioni di morti tra militari e civili, un numero molto maggiore di qualsiasi altra guerra avvenuta in precedenza.
In effetti i numeri non si conoscono con precisione, e già questo dà il segno della brutalità e della violenza della guerra. Secondo gli studi più attendibili, durante i 5 anni di guerra, su un totale di 74 milioni di soldati mobilitati dai Paesi belligeranti, vi furono complessivamente 10 milioni di morti (e dispersi), 21 milioni di feriti – fra cui 8 milioni di mutilati ed invalidi, quindi feriti permanenti – e 8 milioni di prigionieri su tutti i fronti.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo una stima fatta da Ferruccio Ferrajoli, nel Giornale di Medicina Militare, Fasc. 6, novembre-dicembre, Roma 1968: “Il totale delle vite umane perdute in questa guerra dall’Italia, ammonta alla enorme cifra di 680.071, delle quali 406.000 per fatti bellici. Il solo Esercito contò 317.000 morti per ferite sul campo di battaglia, su un totale di morti per ferite – compresi, cioè, i morti per ferite presso gli ospedali o in casa propria (69.000) o in prigionia (16.000) – di ben 402.000. I feriti furono 950.000, non comprendendo nel computo i feriti rimasti in prigionia, calcolati approssimativamente a circa 40.000, ed i feriti curati ai corpi: tale cifra, di 950.000, rappresenta il 16,57% del totale dei mobilitati. Gli invalidi, a seguito di ferite o di malattie, furono in complesso, 462.812, il che porta ad un totale di ben 1.142.883 morti e invalidi.”
Ma ad un secolo di distanza non si ha ancora la certezza di quanti siano stati veramente i morti ed i feriti, tra militari e civili, della Prima Guerra Mondiale ritenuta da qualcuno un “passaggio fondamentale nel processo di costruzione del nostro Paese, perché è nell’affratellamento delle trincee il primo momento vero in cui si sono “fatti gli italiani” dopo l’unificazione dell’Italia.
Un costo enorme che ha inciso la carne stessa delle centinaia di migliaia di vittime, mutilati, feriti, prigionieri. La guerra ha colpito chi l’ha combattuta allo stesso modo delle famiglie a cui queste persone sono state sottratte per essere restituite cadaveri, o non essere restituite affatto; o restituite a volte con devastazioni fisiche e psicologiche inimmaginabili. Perché nella I guerra mondiale tutti gli strumenti di distruzione disponibili (gas, mitragliatori, aerei, artiglieria, lanciafiamme, proiettili dum-dum, sommergibili) furono utilizzati su larga scala e senza limiti.
Dopo cento anni, quella sorta di “frenesia commemorativa” dell’eroico sacrificio dei soldati-contadini trasformatosi in fanti-guerrieri nella gelate trincee alpine e lungo le sponde del luttuoso Piave, si fa ancora testimonianza nei racconti dei nipoti di quei Cavalieri di Vittorio Veneto e nei cimeli custoditi ed esibiti dalle loro famiglie.
Oggi, quando testimoni diretti di questo grande evento storico non ve ne sono più, lo spirito di ogni iniziativa di ricordo o commemorazione deve cercare di trasmettere alle nuove generazioni il senso autentico di una serie infinita di drammi individuali e collettivi ed indurre a comprendere quale valore occorre attribuire alla memoria storica affinchè la comunità non smarrisca il significato ed il senso profondo della propria identità culturale e civile.


A quei valorosi militari si dedica questa poesia di Donato Alberti:

   

E’ LA FINE
C’è solo tristezza in quella visione,
vi regna ira, pioggia e desolazione.
Il mio compagno a terra buttato,
le mani fredde, il corpo tarlato
dalle mille cartucce della mitragliatrice,
con l’altro compagno qui a fianco che dice :
“Ormai è la fine, ormai è la fine!”
Ed io, commosso, grido affannato :
“Gli autriaci arrivano, solcano il crine
Pronti a combattere, ho il cuore malato
Per la crudeltà della vita
Che ti scivola piano tra le dita”.
Dove prima le case sorgevano
E gli alti muri ancora si ergevano
Ora non restan ce pochi mattoni
Insieme ad uomini caduti a milioni.
Vorremmo battere in ritirata
Però la morte è ormai tappa obbigata.
Non sta più a te decidere il fato
Ma a chi, come te, ancor nulla ha pagato
Avendo lottato, ferito, ammazzato :
nascosto in trincea sei solo un soldato.
Intanto gli austriaci son sul confine
Con gli occhi cangianti, più rossi del sangue.
Sento il mio cuore che batte e che langue
E il mio compagno che grida :”E’ la fine!”




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