Il 4 novembre del 1918 terminava vittoriosamente per l’Italia la prima guerra mondiale. Con l’entrata delle truppe italiane vittoriose a Trento e Trieste, dopo quasi tre anni e mezzo di combattimenti, si concludeva quella che allora venne definita la “Grande Guerra”. Grande per il coinvolgimento delle Nazioni, grande il dispiego di forze ed armamenti, grande per i milioni di morti, grande per distruzioni, grande per le immani tragedie, grande per gli sconvolgimenti apportati. Molti i morti italiani, molti i feriti ed i mutilati ritornati dal fronte, molte le famiglie distrutte. L’Italia intera aveva dato il suo contributo. Ragazzi del sud, del centro e del nord combatterono fianco a fianco nelle trincee per fermare il più forte esercito dell’epoca, quello austro ungarico. Tutti uniti per affermare l’indipendenza e l’unità della Nazione, dalla Sicilia alle Alpi. E per un’ Italia unita padri e madri, spose e figli, da nord a sud, versarono amare lacrime di dolore per il tributo di sangue offerto alla Patria.
Con la fine della della Grande Guerra si completava anche il processo di unificazione nazionale. Tre anni dopo, il 4 novembre 1921, l’Italia si stringeva attorno alla figura del “Milite ignoto”, un soldato senza nome che divenuto rappresentazione di lutto personale e collettivo e, soprattutto, un simbolo di identità collettiva e di unione. Con Regio decreto n. 1354 del 23 ottobre 1922 la giornata venne dichiarata festa nazionale.
Da allora ogni 4 novembre si celebra il Giorno dell’Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate, commemorando il tributo di sangue e le gesta eroiche che gli italiani seppero mostrare sul Carso e sul Piave. Ma a distanza di 93 anni il ricordo della Grande Guerra diventa fumoso perché, ormai, rimangono solo i testi di storia a raccontarne gli eventi. Ma la salvaguardia dell’unità e dell’indipendenza della Patria è sempre chiara. Il sacrificio di sangue dei tanti giovani soldati immolatisi sul campo di battaglia nutre ancora la terra dal Piave alle Alpi ed è ancora vivo tra i resti delle trincee rimaste a memoria ed a monito per le future generazioni.
Purtroppo alle celebrazioni di questi ultimi anni manca la presenza di arzilli ultraottantenni, reduci e combattenti della grande guerra, che con le loro rispolverate onorificenze in bella mostra sul petto, testimoniavano con ardore ed orgoglio gli ultimi legami con la storia patria costruita con le note di “Il Piave mormorò … non passa lo straniero”.
Oggi purtroppo di stranieri alle nostre frontiere ne passano, eccome. Di buoni e cattivi. Bianchi, gialli, neri e chissà come. E con loro passano tante altre cose che poco hanno a che vedere con la nostra storia, la nostra cultura, la nostra tradizione. E gli italiani, che è un popolo di esterofili, tutto accoglie e tutto valorizza. Per questo non bisogna meravigliarsi quando un bambino racconta minuziosamente ai suoi genitori della festa delle streghe “Halloween”, mentre si sa poco del nostro "Carnevale". Non bisogna meravigliarsi se i bambini credono che il Presidente della Repubblica sia Obama mentre di Napolitano sanno poco o niente. Oggi è più facile vedere bambini sventolare la bandiera a stelle e strisce che l’italico tricolore bramato, conquistato e sventolato dai tanti italiani che, per l’affermazione degli alti valori della patria, in esso hanno, purtroppo, visto composte le proprie mortali spoglie.
Non si intende, con questo, inneggiare a facili nazionalismi, ma si intende riconoscere ai nostri padri, ai nostri nonni, il sacrificio fatto nella costruzione e ricostruzione dell’Italia. Si intende affermare l'orgoglio italiano in una libera e democratica comunità europea. Si intende far stimare l'italica dignità a tutta la comunità mondiale in modo tale da dare, ai tanti connazionali emigrati, la fierezza di essere italiani.
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