Un automobilista, lanciato a tutta velocità durante un sorpasso su una strada statale in Calabria, investe frontalmente un gruppo di persone uscite in bici per una passeggiata. E’ un massacro: sette ciclisti morti sul colpo, altri tre ricoverati in gravi condizioni.
Se, al di là dei risvolti tecnici della definizione, il concetto di “incidente” lascia intendere un certo grado di fatalità e ineluttabilità, occorre ribadire che questo non costituisce una descrizione appropriata di molti degli eventi lesivi che si verificano sulle strade italiane, che sono – giova ricordarlo – fra le meno sicure e le meno controllate d’Europa.
Comportamenti come quelli che hanno dato luogo alla tragedia avvenuta oggi denotano un atteggiamento criminale da parte di chi, armato del veicolo di cui è conducente, si dimostra spregiudicato e indifferente al rispetto di ogni regola sulla strada. A qualsiasi costo. E spesso facendola franca.
Protetti e isolati all'interno degli abitacoli di autoveicoli sempre più sofisticati, subiamo evidentemente una vera trasformazione psichica che spazza via anche il senso e la paura della morte.
L’automobilista responsabile dell’eccidio odierno, stando ai primi accertamenti di cui la stampa ha dato notizia, aveva subìto il ritiro della patente solo pochi mesi fa per un sorpasso azzardato. Incurante di ciò, si è ugualmente messo alla guida dell’auto. Ma non basta: sarebbe risultato positivo al test antidroga. E neppure avrebbe esitato a mettersi in viaggio con una bambina a bordo.
Se si dice che il veicolo a motore è un'arma e che la patente equivale a un porto d'armi, poi occorre anche essere conseguenti. Altrimenti si parte da premesse corrette per arrivare a conclusioni sbagliate.
La strage di Lamezia Terme configura a nostro parere un omicidio (plurimo) che non può rientrare nella categoria della colpa, cioè nella semplice inosservanza di leggi o regolamenti, bensì in quello del dolo, dunque della volontarietà, anche se solo nella forma del cd. “dolo eventuale”, nota in dottrina e in giurisprudenza.
L’Unione Europea aveva fissato tempo fa un obiettivo molto ambizioso in fatto di sicurezza stradale: ridurre entro il 2010 del 50% il numero delle vittime.
Recentemente sono stati pubblicati i dati ACI-ISTAT 2009. A livello complessivo si osserva una riduzione delle vittime. Se però si analizzano meglio i valori, si nota che la riduzione di mortalità è riferita solo agli automobilisti, in minima parte ai motociclisti, mentre per pedoni e ciclisti il numero di morti è costante.
Se dunque analizziamo questo dato confrontandolo con l’incidentalità in ambito urbano constatiamo che un morto su due in città è un pedone o un ciclista.
Conteggiando anche i motociclisti, risulta che l’83% dei morti in città è da ascrivere all’utenza debole.
Se ne deduce che senza interventi per tale segmento fondamentale della mobilità non si fa nessuna politica di sicurezza.
Nel partecipare al cordoglio dei familiari delle vittime, la Federazione Italiana Amici della Bicicletta chiede che la sicurezza stradale entri finalmente tra le priorità dell’agenda politica, sia su scala nazionale che locale.
( Per approfondimenti, con dati e statistiche si rimanda al breve studio di Edoardo Galatola, Responsabile Sicurezza FIAB: http://www.fiab-onlus.it/download/incidente_8morti.pdf )
FIAB onlus - Federazione Italiana Amici della Bicicletta
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