Secondo l'ANRA il prossimo Referendum “NO TRIVELLE” apre a nuovi rischi idrogeologici per il nostro Paese.

Col Referendum del 17 di aprile, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi nel merito dell’opportunità o meno di abrogare la norma sulla durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate.
La consultazione è stata promossa da 9 Regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, che rappresentano anche il comitato ufficiale per il “SI”), che di fatto non risolve il vero problema della gestione dei rischi ambientali e idrogeologici nel nostro Paese.
L’obiettivo delle Regioni proponenti è quello di impedire alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante già oggi le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, per quanto riguarda le ricerche e le attività petrolifere già in corso una vittoria del «Sì» obbligherebbe le attività petrolifere a cessare progressivamente secondo la scadenza “naturale” fissata originariamente al momento del rilascio delle concessioni.
L'ANRA, Associazione Nazionale di Risk Manager e Responsabili di Assicurazioni Aziendali, rileva che se avesse successo il fronte del “SI” proprio le minacce di natura ambientale avrebbero un maggiore rischio di verificarsi, per l’affollarsi nei nostri mari di petroliere provenienti da siti di estrazione esteri. A questo si aggiungerebbe anche la perdita di migliaia di posti di lavoro attualmente impegnati nella filiera estrattiva petrolifera off shore.
Peraltro, nel nostro Paese manca totalmente la consapevolezza dei rischi idrogeologici che con cadenza annuale rendono sempre più fragile il territorio nazionale, con piene, alluvioni, che provocano morti e danni spesso irreparabili. Sarebbe stato molto più opportuno promuovere una consultazione popolare per mettere in sicurezza e sotto tutela aree del Paese lasciate all’incuria e all’abbandono.
"Si tratta dell’ennesima occasione persa dal Paese, perché si utilizza una consultazione popolare e democratica come l’istituto referendario per provare a risolvere una questione puntuale di negoziazione di sfere di influenza tra Stato e Regioni – commenta Alessandro De Felice, Presidente di ANRA. In particolare, le Regioni che hanno promosso il referendum sembrano voler far leva sullo stesso per acquisire potere in materia energetica e non solo, visto che è in discussione una riforma costituzionale che ridarebbe il monopolio decisionale al Governo. Se vincessero i «SI» migliaia di posti di lavoro andranno persi, in quanto sono 105 le piattaforme messe in discussione dal referendum, il che significa almeno 6.000 posti in fumo solo a Ravenna. Inoltre, l’Italia dovrebbe importare quantità maggiori di risorse dall’estero, dove vengono prodotte secondo gli stessi metodi oggetto della critica e del quesito referendario. Saremmo costretti a chiudere i rubinetti delle piattaforme esistenti da un giorno all’altro, rinunciando a circa il 60-70% della produzione di gas nazionale (ovvero gas metano, una fonte energetica considerata strategica per la transizione verso modelli più sostenibili, non petrolio). Non potendo da un giorno all’altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili, il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gasiere e petroliere) nei nostri mari, con conseguente inquinamento dei mari e paradossalmente aumentando così a dismisura il rischio ambientale rispetto a quello rappresentato dalla produzione delle piattaforme. Probabilmente i promotori del Referendum hanno già dimenticato quanto occorso nel 1991 all’indomani dell’affondamento della HAVEN dinanzi alle coste del porto di Genova, con i conseguenti rischi di natura ambientale che negli anni abbiamo visto accadere anche in altre aree del globo”.
Invece, in caso di vittoria del “No” (o di mancato raggiungimento del quorum), le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero scadenza certa, ma proseguirebbero fino a esaurimento del giacimento. Va ricordato che le piattaforme in oggetto dovrebbero comunque ottenere il rinnovo delle concessioni, che non è automatico. Si chiede, quindi, di continuare ad estrarre idrocarburi laddove già si fa con sicurezza e rispetto dell’ambiente, anche se naturalmente con alcuni rischi. A tal proposito va ricordato che in Italia si estrae seguendo norme rigide ed elevatissimi standard qualitativi fra i più avanzati a livello mondale. Non a caso le aziende italiane operanti nella fornitura ed installazione di piattaforme e componentistiche sono i leader globali.
ANRA ha più volte osservato come l’incuria nella tutela del nostro territorio abbia fatto sì che tra il 1965 e il 2014 abbiano perso la vita quasi 2.000 persone a causa di frane (1.279) e inondazioni (717), circa 40 l’anno, oltre a 66 dispersi, 2.550 feriti e oltre 434.000 sfollati e senzatetto. E nel solo anno 2015 sono state rilevate 106 frane e 33 inondazioni, che hanno causato in Italia 18 morti, 25 feriti e oltre 3.500 tra sfollati e senzatetto (fonte: IRPI-CNR, gennaio 2016), con danni che l’Ordine dei Geologi stima in ben 3,5 miliardi all’anno.

Nessun commento: