LA MELA ANNURCA: UNA RISORSA DI BENESSERE DA TUTELARE.

Nel rigoglioso territorio dei monti Picentini, la mela annurca ha una vasta area vocata tradizionalmente alla sua produzione: un frutto che è sempre stato un valore aggiunto di notevole interesse per l’economia locale. San Mango Piemonte ha con questo tipico frutto campano un legame inscindibile: senza ombra di dubbio si può affermare che, almeno per tutto il XX secolo, è stato il principale patrimonio dell’economia rurale da cui è derivato il sostentamento finanziario della maggior parte delle famiglie sanmanghesi. Con le altre produzioni tipiche del territorio picentino (nocciola di Giffoni, castagna, olio delle colline salernitane, uva, pera spadona e coscia) caratterizza in autenticità e genuinità il paniere dei sapori di un territorio di qualità. La mela annurca è un frutto di forma rotondeggiante con epidermide rossa striata. Nei pressi della cavità penducolare presenta una caratteristica area rugginosa, non molto estesa. La polpa è bianca, compatta, croccante, succosa, dolce, gradevolmente acidula, di eccezionale sapore, aromatica e finemente profumata. Non matura sull' albero, ma a terra su letti di paglia, denominati “toccole”. La raccolta viene effettuata in ottobre, quando inizia la “cascatura”, ovvero cadono dall’albero ancora verdi per il peso non più retto dal corto penducolo che le tiene fissate ai rami. La mela annurca non è una semplice mela, ma un’arte applicata alla raccolta e alla lavorazione di questo antico ed unico frutto. Dopo averle raccolte con panieri di plastica o foderati con stoffa, vengono trasportate in sporte foderate di sacco nei melai. Il melaio è una area di terreno recintato ben soleggiata, organizzata in tante piccole piazzole, di circa m.10x1,5, suddivise tra loro da canali larghi quasi 30 cm, ricoperte di paglia e chiuse sui bordi dal “truocchio”, arrotolamento di paglia, necessaria a non far debordare le mele nel sottostante canale, soprattutto in caso di pioggia. Sulle “toccole” vengono adagiate in file soltanto le mele sane, “affilate”, esponendo alla luce prima la parte meno arrossata e girandole, dopo quindici giorni circa, dall’altra parte. Per la protezione dall’eccessivo irraggiamento solare e da eventuali intemperie climatiche, i melai sono coperti da appositi teli. Tempo fa si impiegavano teli di sacco che ogni giorno, con sole o con la forte pioggia, venivano stesi su ogni “toccola”. In tempi remoti venivano impiegate a questo scopo delle frasche, generalmente di castagno.
Quotidianamente, soprattutto in giornate assolate, le mele poste ad arrossire vengono innaffiate con sola acqua a metà mattinata, ed anche nel primo pomeriggio, per rallentarne la maturazione mantenendone più bassa la temperatura ed evitare che perdano parte della percentuale d’acqua contenuta all’interno con raggrinzimento del frutto. Non molto tempo addietro, affacciandosi ad ottobre dal panoramico pianoro del monte Tubenna si restava particolarmente colpiti da tanti “rossori ” con i quali i melai di San Mango, piccoli o grandi, contigui o sparuti, donavano una colorita vivacità, prima del riposo invernale, a questa fertile e mite terra dei Picentini. La fase di arrossamento nei melai dura circa un mese. A novembre le mele vengono raccolte dai loro giacigli di paglia e portate nei depositi per essere selezionate a seconda della calibratura e del grado di maturazione. I frutti sani e ben arrossati vengono conservati in celle frigorifere, un tempo venivano ammassati in grandi “toccole” nella parte più fredda e remota del terreno, per essere poi immessi sui mercati per i prossimi sei mesi. Quelli già ben maturi sono destinati alla commercializzazione. Le mele “toccate”, ovvero quelle imperfette o segnate da parassiti, sono destinate a cibo per animali, perciò detta dai latini “mala orcula” perché era cibo per maiali. I frutti totalmente marci, detti “palloni”, destinati alla trasformazione in alcool.
NICOLA VITOLO.

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