"Con
quella bocca può dire ciò che vuole" recitava la giovane Virna Lisi nel
Carosello del 1958 che pubblicizzava il dentifricio Chlorodont. Ma se
a Virna Lisi veniva concessa questa licenza ciò non significa che il solo fatto
di avere una bocca ci autorizzi a dire di tutto.
Le parole
che offendono, in modo più o meno esplicito, non possono essere mai
giustificate quindi non ci si può difendere dicendo :"e' colpa sua se va
in giro così..." .
Bisogna dunque
fare attenzione ai commenti che si fanno sulle bacheche altrui di Facebook
,perché anche esprimere un parere negativo sull'abbigliamento di una ragazza,
ad esempio dicendole: ma come ti vesti? Vai in giro vestita così ? potrebbe
costare una condanna per il reato di molestie di cui
all'articolo 660 del codice penale.
Ve precisato
che nei casi più gravi di turpiloquio , offese esplicite o velate possono
configurarsi altre ipotesi di reato come l'ingiuria( se l'insulto viene fatto
solo in presenza della persona offesa, ad esempio in una conversazione in chat)
si ha invece diffamazione se l'offesa alla persona viene fatta davanti a più
persone ad esempio proprio su una bacheca Facebook o in altri contesti
pubblici.
È vero,
viviamo in una società in cui il pettegolezzo sembra dilagare molto di più che
in passato, forse proprio per la complicità dei social network che se da
un lato hanno avuto il merito di far conoscere o far ritrovare persone
lontanissime, dall'altro sono diventati una immensa vetrina attraverso la quale
tutti possono accedere alla vita privata degli altri.
Il caso di
cui si è occupato la Cassazione (sentenza
n. 37596 del 12 settembre 2014) riguarda proprio un commento
apparso sulla bacheca di Facebook di una ragazza.
La donna
aveva postato una sua foto che la ritraeva con una evidente scollatura e
ciò aveva dato adito a un pesante
commento da parte di un uomo che oltretutto si era nascosto dietro
l'anonimato di un nickname.
Con questa
pronuncia la Prima sezione penale della corte di cassazione ha ricordato che Facebook deve essere considerato "luogo
aperto al pubblico" proprio perché l'accesso è consentito a
chiunque utilizzi la rete. Ne discende che, in casi del genere, può configurarsi il reato previsto e punito
dall'articolo 660 del codice penale.
Insomma,
spiega la Corte, Facebook è una vera e propria "piazza
virtuale" che consente "un numero indeterminato di accessi e visioni,
rese possibili da una evoluzione scientifica che il Legislatore non era
arrivato ad immaginare".
A questo
punto siamo tutti avvertiti.
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