Capua dominò tutto il territorio di Caserta, Sessa, Venafro e Carinola.
Fu davvero una potenza e i reperti archeologici, artistici ed architettonici qui conservati non sono certo da poco. Per fortuna dei turisti, campani e non, la maggior parte di essi è raccolta in un palazzo molto antico, ristrutturato, che ha preso il nome di Museo Provinciale
Campano. Eh sì, proprio il museo che raccoglie la straordinaria collezione di Matres Matutae. La Mater Matuta era un antica divinità italica, molto più antica della già antica Roma, le matres che la rappresentavano erano una specie di ex voto per la concessione della fertilità. Semplicemente affascinante scoprire, attraverso la fattura delle matres, il progresso nella rappresentazione degli artisti attraverso il tempo. La collezione di meraviglie però non finisce qui.
Raccolte di reperti funerari, che possono svelare I cold case dell’archeologia: le steli funerarie, i sarcofagi e poi la raccolta di ritratti di reali dai Borbone ai Savoia con tutto il retaggio storico la collezione di vasi italioti ed attici. Roba da leccarsi le orecchie, avrebbe detto un comico degli anni ottanta. Eppure, ancora una volta il pubblico alle dodici di una bella giornata di primavera, festiva, venti deboli e mari poco mossi, assenza di congiunzioni astrali e buoni auspici constava di visitatori numero tre. Il successo dei successi. Nel 2016 la Regione Campania strinse con la Provincia di Caserta un accordo per un nuovo orientamento della gestione di questo museo che si chiama Campano perché da Capua ebbe origine il nome Campania. Oh Bene. Un intervento forte, rivoluzionario. Risultati da capogiro. Eppure le opere esposte sono moltissime e l’estensione del museo ragguardevole. Peccato che, specialmente nella sezione delle steli funerarie e dei sarcofagi, i misteri dell’antica civiltà che tanto produsse restano noti solo a pochissimi. Didascalie, banali cartellini con indicazioni? Non pervenuti. Silenzio, qui ci sono segreti. Poche righe, ben scritte, rischiano di provocare perfino interrogativi, curiosità autoidentificazione. No, no, no. Qui tutto resta segreto, sotto chiave. Ecco allora che comincia il olito piagnisteo, il solito singhiozzo implorante: servono soldi e non ce ne sono. Ok, pochi soldi, poco sostegno. Tutto l’oro del mondo però non sarebbe sufficiente in assenza di adatte competenze ad utilizzarlo. La comunicazione: pochi, pochissimi sanno dell’esistenza di questo importantissimo Museo. I trasporti: è necessaria una linea che metta in comunicazione stazioni ed aeroporti con il sito affinché giungere al museo non diventi una faticosissima, farraginosa, lentissima impresa. Ospitare una scolaresca completa di insegnante di storia dell’arte, che si riduce allo stremo nel tentativo di tenere viva l’attenzione degli studenti in gita, non rende questo Museo memorabile agli occhi della scolaresca. I ragazzi impegnati nell’affrontare e dirimere le prime storie sentimentali, le piccole affermazioni di personalità e tutte le questioni adolescenziali legate ai rapporti scolastici, difficilmente se ne distrarranno perchè conquistati dalle informazioni didascaliche dell’insegnante e dall’assenza di qualsiasi stimolo susciti in loro emozione.
Tirando le somme: se il museo è difficilmente raggiungibile, se la visita si riduce ad una passeggiata frettolosa tra le opere, senza curiosità o autoidentificazione, se lo scopo dell’esperienza resta il semplice acquisto del gadget testimone del proprio viaggio, allora non bisogna domandarsi il perché di un numero di visitatori così esiguo. Musica, luci didascalie. Piccoli costi per grandi risultati. I finanziamenti non sono che uno start, una possibilità di ripartenza. La struttura deve imparare ad autogestirsi, a produrre reddito. I soldi, quando ci sono, si devono usare e bene, disperderli in attività che non permettono l’affermazione turistica del sito è del tutto inutile.
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